
Censis 52° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2018

Un articolo di Franco Pizzetti
Basterebbe avere una strategia, valorizzare le competenze che ci sono per sviluppare le altre per contaminazione. Introdurre una cultura della sostenibilità e della condivisione agendo per reti orizzontali di persone, ruoli, gruppi, organizzazioni, anche nazioni.
Ora qualcuno mi risponderà che è utopia. Niente affatto. Abbiamo teorie organiche che sostengono il cambiamento, metodologie ormai testate, in più strumenti digitali che migliorano giorno per giorno abbattendo i costi economici e sociali.
È la volontà che forse manca? È il troppo potere lasciato ai burocrati, ai mafiosi, ai portatori di zavorre?
Insomma: i dinosauri non si sono evoluti, ma noi abbiamo la possibilità di inserire armonia e benessere nella PA e nei servizi al cittadino.
Sorgente: (1) #cambiamentoPA , Alcune riflessioni | LinkedIn
“In un momento in cui l’importanza degli insegnanti nel complesso sistema scuola è sempre più evidente, quali sono le principali sfide della professione in rapporto alla domanda e all’offerta? Come si diventa insegnanti? Quali misure di sostegno sono previste dopo l’abilitazione all’insegnamento? Quali opportunità di carriera offre questa professione? E in che modo i sistemi educativi affrontano le problematicità di questi aspetti?
Queste alcune delle domande cui risponde l’ultimo rapporto della rete europea Eurydice “Teaching Careers in Europe: Access, Progression and Support.”
L’analisi comparativa delle politiche nazionali sulla carriera dei docenti in Europa comprende 43 sistemi educativi ed esplora diversi aspetti della professione docente delle scuole di livello primario e secondario di tipo generale.
I principali temi trattati includono la pianificazione nella domanda e nell’offerta di insegnanti, l’accesso alla professione docente e la mobilità degli insegnanti, lo sviluppo professionale continuo, le misure di sostegno, lo sviluppo della carriera e la valutazione.
È possibile leggere una sintesi in italiano dei principali risultati e consultare la versione integrale del rapporto.”
Sorgente: La carriera degli insegnanti in Europa: accesso, progressione e sostegno – Indire
“Organizzato in sei capitoli e 38 quadri tematici, il Rapporto utilizza il concetto di informazione economica, ossia di sapere utile, per concentrarsi sui modi e sui processi con cui la conoscenza si crea, si trasmette e si utilizza nell’economia e nella società. Prende in considerazione anche i fenomeni emergenti, trattati con indicatori e fonti nuove, gli strumenti che favoriscono lo sviluppo della conoscenza e le sfide per le politiche.
Il tema della conoscenza non è quindi affrontato nei termini restrittivi di innovazione nei processi e nei prodotti, di ricerca e sviluppo, di brevetti e marchi, di design industriale e proprietà intellettuale. Questi aspetti sono tutti trattati nelle schede del Rapporto, ma non le esauriscono.
Il Rapporto non è pensato per una sola sequenza di lettura: le schede possono essere lette indipendentemente l’una dall’altra, anche se la loro organizzazione in capitoli e la loro successione suggeriscono una chiave analitica e interpretativa che muove dalla creazione di conoscenza alla sua trasmissione, con particolare riferimento all’istruzione, ai suoi usi nei processi economici e nella vita delle persone, agli aspetti che costituiscono uno stimolo alle politiche.”
Sorgente: Rapporto sulla conoscenza in Italia. Edizione 2018
Formazione&Cambiamento n.9/2018
Il contesto
La scuola è un ambiente sociale in continuo mutamento. Perché istituzione naturalmente primaria e strategica per lo sviluppo socio-economico di qualsiasi paese, ma anche perché istituzione aperta ad ogni cambiamento del più ampio sistema sociale.
Queste caratteristiche da un lato espongono la scuola a continui e non sempre coerenti progetti di riforma, quando si alternano velocemente governi e ministri; ma dall’altro fanno del sistema scolastico un contesto dinamico, dove idee e progetti possono confrontarsi, anche in assenza o carenza di strategie ben definite.
In questi ultimi anni, nei quali le tecnologie digitali stanno inglobando quelle informatiche e internet ha iniziato ad inserirsi negli oggetti di tutti i giorni, la scuola italiana si è trovata negli ultimi posti delle statistiche che monitorano le competenze digitali degli europei, di ogni età.
In particolare la Commissione Europea, che definisce l’Europa come la Società della Conoscenza e dell’Apprendimento, nei documenti nei quali vengono individuate, descritte e classificate le competenze digitali (il più recente è il DigComp 2.1 del marzo 2017) ha individuato cinque macro aree di competenza, suddivise in più aree misurate con indici e indicatori:
È in questi documenti che l’Italia si colloca al quart’ultimo posto della graduatoria e i giovani non fanno eccezione. Allo stesso tempo, si sta purtroppo consolidando un’altra drammatica statistica comparativa, quella che vede la percentuale dei laureati italiani tra i 24 e 34 anni tra le più basse nei paesi OECD (fig.1).
Fig. 1 – Educational attainment of 25-34 years-olds (2016)
Fonte: Education at a Glance, 2017
Questo il contesto nel quale è stato elaborato dal Miur il Piano Nazionale Scuola Digitale , nel quale sono individuate 35 aree di innovazione possibile e da perseguire, raggruppate in nove ambiti (fig.2):
Fig.2 – il Piano Nazionale Scuola Digitale
Fonte: Miur
A supporto della realizzazione del PNSD, il Miur ha erogato sia finanziamenti per singoli progetti di innovazione, sia il finanziamento, tramite fondi europei PON, di un programma di formazione articolato e capillare, finalizzato ad accompagnare i professionisti che operano nelle scuole. Secondo le proprie competenze e responsabilità, i partecipanti sono accompagnati a conoscere approfonditamente tutte le azioni e ad acquisire le competenze sia tecnico-professionali sia trasversali indispensabili per realizzare le innovazioni che ogni singola scuola ritiene necessarie (fig.3).
Fig.3 – Gli interventi formativi per le figure professionali
Fonte: Miur
Per la realizzazione pratica delle attività formative, ogni Ufficio scolastico regionale (Usr) ha ricevuto alcune indicazioni e linee guida, ma poi ogni singolo ufficio ha individuato sul territorio le “Scuole snodo formativo” alle quali assegnare il compito di progettare e realizzare le attività formative.
La progettazione partecipata
Ed è a questo punto che posso entrare pienamente nel merito dell’argomento indicato dal titolo di questo articolo. La domanda è: come progettare le attività formative per innovare la didattica nelle scuole?
Nella regione che mi ha coinvolta di più in questo PON per il PNSD, il Lazio, il gruppo di progetto al quale ho contribuito fin da subito si è posto come obiettivo quello di trovare modalità in grado di raggiungere un equilibrio sostenibile rispetto alle tante differenze che rendono la nostra scuola un ambiente ricco, vivace, ma esposto a frequenti rischi di contrapposizione piuttosto che ad un aperto confronto.
L’equilibrio sostenibile è stato trovato, in fase di progettazione, partendo da queste considerazioni e dalle relative scelte:
In tutto questo piano di formazione mi sono trovata così a dover individuare modalità di progettazione partecipata su due diversi tempi e piani di responsabilità: prima come progettista dell’impianto insieme ad un gruppo ristretto di Dirigenti scolastici e Formatori, quindi della scelta degli obiettivi specifici derivati dagli obiettivi strategici ministeriali; poi come formatrice in aula per sostenere e sviluppare nei partecipanti competenze condivise e sostenibili di progettazione partecipata per la piena attuazione del PNSD, quelle tecniche-professionali ma soprattutto trasversali che ho ritenuto fin da subito il principale obiettivo didattico.
Per fare questo, ho introdotto nel patto formativo d’aula la conoscenza e condivisione di teorie organizzative organiche, capaci di fornire una visione di insieme, un’azione di sistema per tutte le professioni; ma anche l’accettazione di un metodo sperimentale, quasi un laboratorio, indispensabile per compiere un processo di innovazione sugli argomenti prescelti dai partecipanti stessi, che permettesse loro di:
Gli strumenti
La progettazione partecipata è realizzata seguendo le fasi della metodologia del design thinking(empathize, define, ideate, prototype, test) (fig.4) e utilizzando le tecniche – il più possibile digitali – dell’animazione e facilitazione, introducendo i partecipanti all’uso di strumenti di immediato utilizzo. In particolare, alcuni strumenti più di altri hanno più suscitato l’interesse dei partecipanti. Sono strumenti – non del tutto sconosciuti nella progettazione – che le scuole utilizzano per la vita dell’istituto, per la programmazione, per la didattica, per la comunicazione; ma, forse per la prima volta, la gran parte dei partecipanti li ha utilizzati in modo organico, in gruppi di lavoro multidisciplinari, in modalità cooperative e sperimentali.
Fig.4 – Le fasi del design thinking
Fonte: d.school Stanford University
La fase propedeutica alla scelta, utilizzo e implementazione degli strumenti è quella dell’individuazione dell’azione del PNSD sul quale svolgere in aula, in piccoli gruppi di lavoro, la progettazione partecipata delle attività (empathize). Successivamente, viene utilizzato il DigComp 2.1 per individuare il livello di competenza iniziale, da sostenere o da raggiungere (define). E per farlo si utilizza l’ottima infografica presente nel documento europeo (fig.5).
Fig.5 – Apprendere a nuotare nell’oceano digitale
Fonte: DigComp 2.1
La terza fase è quella della ideazione (ideate), che si conclude con la costruzione di un progetto da realizzare o verificare nella scuola (prototype e test). L’ideazione viene realizzata con strumenti digitali di differente complessità, scelti dai partecipanti in funzione del contesto e dell’argomento sul quale si vuole realizzare un progetto. A titolo di esempio, tra gli strumenti più semplici viene proposto l’ambiente digitale di Padlet, che consente di creare bacheche di lavoro con differenti modalità di partecipazione e collaborazione. Tra i più complessi viene proposto l’uso del Business Model Canvas per la progettazione partecipata orientata all’utente (l’intera comunità educante), il sito di Rai Scuola per la creazione di video lezioni, la piattaforma di WeSchool per la classe virtuale, le app di Google Edu per la progettazione partecipata di un sito didattico in grado di integrare documenti, presentazioni, immagini, video, mappe, questionari e comunque link a siti on line.
Alla ricerca di una didattica che integri modalità tradizionali e digitali
Durante la mia attività per la formazione del PNSD ho potuto incontrare il personale di molte scuole del Lazio, più della metà di quelle che compongono l’ampio numero delle istituzioni che operano nella regione. E poi i Dirigenti Scolastici di altre regioni, in eventi pubblici o in percorsi di formazione dedicati.
Molti hanno portato la loro esperienza di disagio quotidiana, generata dalla carenza delle infrastrutture indispensabili per realizzare una didattica digitale integrata, come una connessione insufficiente o instabile e tecnologie o programmi obsoleti. E allo stesso tempo hanno lamentato anche come l’integrazione e la comunicazione siano ancora scarse nelle scuole, tra docenti di materie differenti o tra diversi profili professionali. Ma altrettanto numerosi, forse di più – perché spesso le buone pratiche chiedono e ottengono meno ascolto delle esperienze che raccontano una criticità – sono stati i racconti delle sperimentazioni portate a termine e delle micro o macro innovazioni organizzative e didattiche.
Proprio per questo ritengo che i momenti formativi siano una occasione imperdibile per valorizzare la comunicazione tra le persone, la riflessione sui ruoli agiti e sui processi di lavoro, la condivisione delle strategie, non ultimo il rinforzo della motivazione verso il prezioso lavoro dell’educatore. L’attività di progettazione condivisa e partecipata realizzata in aula può consentire ai partecipanti di sperimentare soluzioni sostenibili basate su approcci teorici che pongono al centro lo sviluppo armonico e attivo dei giovani e sostengono il flusso ininterrotto del loro processo di apprendimento, alla ricerca di una didattica che integri al meglio modalità tradizionali e digitali, favorisca lo sviluppo di competenze e la produzione di saperi nuovi.
Riferimenti bibliografici
S. Carretero Gomez, R. Vuorikari, Y. Punie, DigComp 2.1: The Digital Competence Framework for Citizens with eight proficiency levels and examples of use, Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2017
OECD, Education at a Glance 2017: OECD Indicators, OECD Publishing, Paris, 2017
A. Osterwalder, Y. Pigneur, Business model generation, John Wiley & Sons, New Jersey (USA), 2010
Miur, sito sulla scuola digitale: http://www.miur.gov.it/scuola-digitale
Miur, sito sulla formazione per il PNSD: http://www.formazionepnsd.it
Quando una istituzione, un’organizzazione, un qualsiasi soggetto collettivo comunque “strutturato” interviene, cerca di intervenire, sui percorsi di vita delle persone, compie quasi sempre un errore che invece andrebbe assolutamente evitato: realizza, anche in buona fede, progetta percorsi già “strutturati”, proponendo soluzioni prima di aver realizzato una vera e propria fase investigativa.
Nel migliore dei casi si cerca di replicare “buone pratiche” o “casi di successo”, nel peggiore le persone sono considerate in modo “anonimo”, come una categoria unica, al massimo differenziata in base al genere, l’età, l’istruzione, la classe sociale, l’etnia. Insomma, tutte categorie che tendono a “strutturare” le storie e le vite delle persone, a catalogarle dentro schemi utili per il progettista.
Quello che vorremmo proporre in questo tipo di intervento è una metodologia che si riconduce alle teorie più umaniste degli interventi sociali, quella che pone ogni singola persona al centro del suo processo di sviluppo, come attore di un percorso di vita che tiene conto delle competenze individuali: quindi le sue capacità, potenzialità, desideri, aspirazioni, valori, da far incontrare con opportunità già esistenti e strutturate ma anche da sviluppare in modo originale e innovativo.
Per fare questo proponiamo di utilizzare un approccio sì sperimentale ma “umano”, sì scientifico ma co-progettato con le persone. In questo modo, le persone non sono oggetto ma diventano pienamente attori, fin dalle prime fasi del percorso, che seguono insieme all’animatore/facilitatore esperto di orientamento, proprio in modo partecipato.
Le metodologie utilizzabil sono molte, tutte scientificamente dimostrate.
Una per tutti è quella del design thinking process dell’Università di Stanford, rappresentata nella figura che segue.
Un processo che pone le persone al centro e si avvia con una fase di empatia, di ascolto non giudicante delle persone: storie vissute, relazioni umane e sociali, desideri. E poi prosegue definendo e anticipando il cambiamento auspicato, ideando processi dalla condivisione delle idee, progettando una prima soluzione prototipale, testando infine in una fase sperimentale vincoli e opportunità del percorso fino ad ora immaginato.
Eccolo qui il mio sito didattico per il Laboratorio di Comunicazione Organizzativa del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, Sapienza Università di Roma.
Pubblicato anche il Sway della lezione #1.
Naturalmente tutto con licenza CC
La Scuola è l’istituzione più coinvolta e centrale nella realizzazione e sviluppo della Società della conoscenza. Tanto che, nei documenti europei più recenti, si sta affermando proprio la definizione più ampia di Società della conoscenza e dell’apprendimento.
Nella Scuola che innova è indispensabile non cedere alle lusinghe delle soluzioni frammentate e “di moda”. Il digitale è la migliore opportunità oggi disponibile per ribadire l’importanza di interventi sostenuti da approcci teorici che pongono al centro lo sviluppo armonico e attivo dei giovani e sostengono il flusso ininterrotto del loro processo di apprendimento. Il digitale presuppone la scelta di metodologie attive e consapevolmente indicate dagli educatori per permettere l’acquisizione e lo sviluppo continuo delle competenze digitali e di cittadinanza attiva. Il digitale permette l’adozione e uso di strumenti che possono migliorare la didattica e favorire la comunicazione e la produzione di saperi nuovi.
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